E’ necessario sviluppare una strategia a lungo termine che preveda l’apertura a un’educazione multidisciplinare.
Alberto Sangiovanni Vincentelli, The Edgar L. and Harold H. Buttner Chair of Eecs University of California, Berkeley
Proprio come nel Rinascimento, anche oggi ci troviamo a un punto di svolta: un momento in cui la possibilità di cogliere occasioni irripetibili viaggia assieme alla preoccupazione di rimanere tagliati fuori dal mondo del futuro. Per il Professor Alberto Sangiovanni Vincentelli, un Rinascimento Digitale italiano è possibile, ma solo tramite lo sviluppo di una strategia a lungo termine che preveda il miglioramento delle relazioni tra imprese, università e centri di ricerca e l’apertura a un’educazione multidisciplinare orientata a comprendere le grandi questioni tecnologiche, politiche e sociali che governano il mondo.
“Tutti i cambiamenti partono da una buona educazione e dalla formazione. Firenze, per esempio, una delle grandi capitali della finanza rinascimentale, disponeva di governanti illuminati che finanziavano ricerca e arte. Un’altra caratteristica emblematica di quell’epoca era l’ interdisciplinarietà. Tutti i geni che hanno vissuto in quel periodo, da Leonardo a Michelangelo o Leon Battista Alberti, s’intendevano di matematica, lettere, filosofia ed erano tutti grandi artisti.
Oggi questa capacità trasversale è andata perduta a causa dell’influenza del modello di sviluppo importato dagli Stati Uniti i quali, per un certo periodo, hanno favorito un’educazione di tipo verticale volta soprattutto alla specializzazione. Ciò ha fatto sì che anche i grandi imprenditori della Silicon Valley, preparatissimi nelle loro discipline, avessero conoscenze di storia, geografia o politica a volte davvero molto modeste.
Ma gli USA hanno anche un’altra grande risorsa: la capacità di adattamento e l’abilità di cambiare e seguire le novità. Per questo le università americane hanno oggi abbandonato quel tipo di modello e si sono orientate verso un piano didattico più aperto e inclusivo che puntava alla promozione di conoscenze di base ampie. Questo perché gli sviluppi della tecnologia, in particolare quelli avvenuti nel campo della biologia e della medicina, non sono mai avvenuti all’interno di una specializzazione, ma sono nati dalla contaminazione tra diverse materie come, ad esempio, la chimica e l’ingegneria. Se guardiamo per esempio alla biologia sintetica, cioè alla capacità di creare forme di vita che non esistono, essa deriva dalla confluenza di chimica, biologia e ingegneria: questa combinazione porta innovazione. L’effetto magari si vedrà tra 10 anni, ma intanto qualcosa comincia a muoversi. Perché i nostri giovani siano preparati non si può dunque prescindere dai fondamentali e i fondamentali della scienza sono matematica, fisica e adesso anche biologia e computer science.
Quando si parla di aziende, invece, lo sviluppo tecnologico è ed è stato un fenomeno incredibilmente veloce. Soprattutto nel mondo dell’alta innovazione, la cosa più importante è la velocità con cui si porta un prodotto sul mercato e non la protezione dei risultati raggiunti. Ma anche in questo caso si tratta di un risultato che deriva da un percorso di conoscenza che si è dipanato nel tempo.
Prendiamo per esempio l’intelligenza artificiale: si tratta di un concetto nato nel 1950 quando si iniziò a studiare lo sviluppo di sistemi hardware e software in grado di perseguire autonomamente una finalità definita prendendo delle decisioni. In sostanza parliamo di intelligenza artificiale riferendoci alla definizione di algoritmi che elaborano un’enorme quantità di dati dai quali è il sistema stesso che deve derivare le proprie capacità di comprensione e ragionamento. La prima ondata di interesse per l’AI avvenne negli anni 80 con le reti neurali, quando furono stanziati enormi investimenti in ricerca che non diedero i risultati sperati. Poi con l’arrivo del “diluvio di dati” e la necessità di interpretarli è nato il bisogno di creare un sistema che oggi vanta una potenza di calcolo infinita. Da qui il ritorno all’AI, questa volta sotto forma del Machine Learning. Per stare al passo con queste continue evoluzioni e possibili applicazioni della tecnologia, quello che dobbiamo fare è allenare i nostri giovani al pensiero critico, ad avere solide basi a cui appellarsi e a non accontentarsi, a spingersi oltre ciò che viene loro insegnato.
Oltre all’importanza della formazione, l’altro tema fondamentale nel rapporto con la tecnologia è quello dell’etica. Le macchine, infatti, eccellono solo dove lo spazio è finito e le soluzioni si possono determinare. Ma in tutto ciò che è gri- gio, non determinato, non sanno dare risposte. In tal senso, diventa necessario capire quale ruolo dare alle macchine. Prendiamo per esempio i grandi sistemi che prelevano informazioni dal web, utilizzano i nostri dati per inviarci sondaggi commerciali con l’obiettivo di ridurre il tempo tra il momento in cui un utente vede una pubblicità e l’acquisto del prodotto promosso: si tratta di un’attività che può indubbiamente condizionarci e costringerci a compiere determinate azioni. La stessa cosa si propone nel momento in cui ci affidiamo alle macchine per la selezione e la valutazione del personale, o quando deleghiamo a loro certi compiti di sicurezza sul lavoro. Ciò ci fa capire che quando arriviamo a mettere in mano delle tecnologie compiti che normalmente appartengono agli uomini dobbiamo riflettere anche su come regolamentare tali attività. L’aspetto positivo è che queste operazioni ci costringono a stabilire cosa insegnare alle macchine e, di conseguenza, a pensare a ciò che è giusto per noi.”