Delle arti e dei mestieri

Marko Bertogna, professore di Unimore e Direttore di High-Performance Real-Time Systems Laboratory (HiPeRT Lab) | Impresa&Imprese 1/2021

Il ritorno delle “relazioni in presenza” ci ha già insegnato che lavorare insieme ci
permette di guardare al futuro in maniera più ottimistica

Marko Bertogna, professore di Unimore e Direttore di High-Performance Real-Time Systems Laboratory (HiPeRT Lab)

L’emergenza Covid-19 ci ha fatto capire che le nuove tecnologie avranno un ruolo fondamentale nella costruzione del mondo post pandemico. E mentre valutiamo quali intelligenze ci aiuteranno a realizzare un percorso sicuro, sostenibile e lungimirante, il ritorno delle “relazioni in presenza” ci ha già insegnato che lavorare insieme ci permette di guardare al futuro in maniera più ottimistica. Tra i settori più avanzati dell’industria italiana, l’automotive, nonostante l’impatto della pandemia, non ha rallentato i suoi processi di sviluppo tecnologico. Connettività, automazione, elettronica e mobilità condivisa sono gli elementi che caratterizzeranno aspetti e scenari di questa industry in cui il Rinascimento Digitale sta esplorando tutte le sue potenzialità.

Lo sa bene Marko Bertogna a capo di HiPeRT Lab che oggi conta una settantina di ricercatori e dottorandi e si occupa di due grandi questioni: lo sviluppo dei microchip di nuova generazione e l’ambito di applicazione dei processori nei nuovi sistemi di guida automatica, un ambito attuale e interessante, in cui compiere una rivoluzione che vada di pari passo con l’uomo e sia pilotata dal talento degli individui. Ma non è sempre stato un successo: all’inizio di questa esperienza, le aziende non erano particolarmente attratte dalle proposte del laboratorio.

“È stato allora che abbiamo cominciato a interrogarci su quali processori avrebbero potuto attirare l’attenzione delle imprese in un prossimo futuro. Tutto parte dalla Legge di Moore: una norma empirica che ha permesso di ridurre progressivamente le dimensioni dei transistor e ci ha consentito di aumentarne il numero da integrare all’interno dello stesso chip. Le architetture del nostro laboratorio, per esempio, hanno un numero di transistor paragonabile ai neuroni del cervello di un mammifero o di un essere umano. Il problema è che queste tecnologie sono sempre più care: il costo dei macchinari in grado di produrle ammonta a vari miliardi di dollari e, poiché solo poche aziende possono permettersi di fabbricare questo tipo di chip, il numero degli attori sul mercato globale si è sensibilmente ridotto.

Questi transistor sono multi core, ovvero hanno la possibilità di avere un numero elevato di processori all’interno del chip. Oggi, infatti, siamo nell’era delle architetture parallele, caratteristica che permette di avere delle prestazioni computazionali che fino a qualche anno fa erano a disposizione solo di determinati centri di calcolo.

La sfida è intercettare i nuovi trend tecnologico-informatici e capire come declinarli nelle nostre realtà quotidiane

In ambito automotive, esistono un centinaio di processori sparsi per tutto il veicolo. Un sistema profondamente complesso che richiede esperti informatici, ingegneri elettronici capaci di rendere le automobili qualcosa di sempre più lontano dal meccanico. Non a caso, le auto sono tra gli apparecchi che nel prossimo futuro subiranno maggiori cambiamenti. Tutta la parte elettronica verrà rivoluzionata e si passerà da centinaia di core sparsi per il veicolo a due, a tre domain controller principali. Un processo che avverrà in tutti gli ambiti industriali, dalla robotica, all’automazione industriale, all’avionica.

Essendo sempre meno i provider in grado di produrre queste piattaforme ed essendo molto costoso realizzarle, significa che i disegni dei nuovi chip non saranno specifici di un’applicazione, ma sarà sempre più frequente che i chip usati nei nostri mobile o smartphone vengano configurati anche per il veicolo autonomo, il drone o il braccio robotico. Nel realizzare questo tipo di ecosistema di software è estremamente importante che esso offra alle industrie garanzie di sicurezza e predicibilità, che sono fondamentali in un sistema progettato per muoversi in ambito pubblico, in cui si interagisce con degli utenti, come per esempio una macchina autonoma o un robot per la consegna a domicilio. Già oggi esistono aziende di intralogistica che hanno magazzini automatici estremamente avanzati e che sempre più continueranno a implementare questi sistemi, queste nuove architetture che dobbiamo imparare a utilizzare per sviluppare delle applicazioni un po’ più futuristiche.

Quello che facciamo nel nostro laboratorio è cercare di unire due mondi: un mondo che ha bisogno di mangiare tanti dati, quello che viene chiamato data crunching, ossia elaborare dati provenienti da una serie di sensori. I nostri veicoli sono dotati di varie telecamere, laser scanner, etc. per cui realizziamo a bordo quella che viene definita sensor fusion, ossia l’unione di dati e segnali che provengono da sensori diversi e che richiedono un’elevata mole di calcoli. Dall’altra parte, abbiamo l’esigenza di sviluppare le applicazioni che andremo a porre su questi veicoli e che non possono essere uguali alle App sviluppate per un gioco, per il mobile o il web. Si tratta di dispositivi safety critical che hanno bisogno di controlli granulari, di un’erroneità molto bassa della latenza, per esempio, la predicibilità – cosa più succedere nel caso peggiore – tematiche di qualifica e certificazione. Tutto ciò viene troppo trascurato nei corsi di informatica, dove c’ è una grossa impreparazione, ma credo noi italiani potremmo dire molto perché neanche all’estero sono così avanzati su queste tematiche. Abbiamo di fronte a noi l’opportunità di cogliere questa rivoluzione, a livello di sistema, di applicazione o di inventiva, immaginando cosa si potrà fare.

È ragionevole pensare che tutto ciò che si muove, su ruota, su ala, su elica, su acqua, può essere autonomo e, se può essere reso autonomo, tutto fa pensare che probabilmente lo diventerà. Se non ho bisogno di un guidatore o di un operatore e gli stessi compiti riesco a realizzarli in maniera automatica, è meglio attrezzarsi per tempo, sviluppare le tecnologie, assumere le risorse che porteranno l’azienda a essere più pronta per questa rivoluzione industriale.

Il nostro ecosistema industriale ha avuto molto successo a livello meccanico, ma è un po’ impreparato a cavalcare questa rivoluzione tecnologico-informatica. La sfida è intercettare questi trend e capire come declinarli nelle nostre realtà produttive quotidiane. I sistemi autonomi sempre di più avranno capacità di riconoscimento, di rimpiazzare quei compiti spesso ripetitivi e poco stimolanti che oggi sono realizzati dall’umano. Questo nuovo paradigma computazionale, questi chip in grado di svolgere compiti che fino a qualche tempo fa erano impensabili da risolvere in maniera automatica sono una piccola anticipazione di come potrà funzionare il mondo del futuro. Anticipare i trend su ciò che sarà autonomo e prepararsi in tutti i domini che possono essere toccati da questa rivoluzione sarà la sfida da vincere.”

Guarda il video relativo all’intervento di Marko Bertogna, nel corso di “Rinascimento Digitale – Quale intelligenza per la ripresa?”, l’evento promosso dalla Filiera Servizi Professionali di Confindustria Emilia, in collaborazione con altre 15 territoriali del Sistema, che si è tenuto il 6 ottobre 2021 in Accademia Militare a Modena.

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